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La tavola romana tra proverbi e detti popolari

tavola romana

La tavola romana è spesso protagonista di detti e proverbi popolari. Per i Romani, infatti, mangiare è sempre stata la principale tradizione, portata avanti seguendo il detto panza mia fatte capanna. Un motto generalmente utilizzato dalle persone golose che, trovandosi davanti a un tavolo piena di cibo, sperano che il loro stomaco sia così grande da poterlo contenere tutto.

Dai pranzi luculliani ai baccanali popolari, regna il concetto che la pila, ovvero la pentola, sia la pace della casa, dimora nella quale vigono delle semplice regole elementari, come A la braciola la graticola e ar frito la padella.

Alla faccia di chi ti vuole male o dei vari chef e critici gastronomi presenti nel mondo della televisione: magna quello che ciai davanti (mangia quello che hai davanti) e non pensare a come lo si è fatto (nun cerca si come è fatto), ma pensa soltanto a mangiarlo e a riempirti la pancia.

La tavola romana: oggetto sacro

Quello che vede i romani amanti dello stare tavola a mangiare e a bere non è soltanto uno stereotipo televisivo, anzi, è la pura e semplice realtà. Infatti, molto spesso rimangono parecchio tempo vicino al tavolo da pranzo/cena, anche a costo di mostrare a tutti il loro lato sbracato e caciarone.

Nonostante molti di loro sostengano il proverbio Nì a tavola nì a letto nun se porta rispetto, in realtà sono a piena conoscenza del fatto che a tavola è tradizione parlare molto; magari anche facendolo con la bocca piena, senza aver particolari timori e falsi pudori. Durante il pasto le parole scorrono su fiumi di vino, i quali abbelliscono la coretella e la coda alla vaccinara, si tirano indietro come la cipolla nella pila, fino a scaldarsi come le squisite costolette d’agnello.

Si mangia per vivere, non per morire (se magna pè campà, no pè crepà)

Riguardo alle abbuffate romane, da più di qualche millennio, si narra:

“Noce e pane so’ pasto da sovrane e ancora: Ova de giornata, pagnotta sfornata, vino rosso e maccaroni, nun so’ fatti pe’ minchioni”.

Vengono considerati minchioni coloro che darebbero retta ai “guru” della salute pubblica, che si ostinano a perseguire regimi alimentari eccessivamente salutari. Questi impongono analisi di laboratorio, talvolta costose e dalle rigide regole, solamente per tenere smisuratamente sotto controllo vari parametri dell’organismo, come la glicemia, l’azotemia e il colesterolo.

Il vero romano di tradizione, quello vorace all’inverosimile, non segue affatto le linee guida dei dietologi. Secondo il suo parere, essi godono nel farti morire frustrato, dopo averti fatto ingerire solamente la quantità di cibo necessaria alla sopravvivenza.

In fin dei conti, esci dallo studio del dottore dopo avergli lasciato parecchio soldi, generalmente circa due piotte (duecento euro), sentendoti depresso. E, come se tutto ciò non bastasse, inizi a farti false promesse, dicendoti che la prossima settimana avresti iniziato la dieta, ma che, si sa, nella maggior parte dei casi non inizi mai.

Successivamente, ricadi nella trappola recendoti nella trattoria più vicina a te, per provare a farti tornare il sorriso, magari davanti a un piatto di rigatoni co’ la pajata.