Il pangiallo è un antico dolce romano preparato per le festività natalizie.
Secondo alcune leggende veniva cucinato in occasione del solstizio d’inverno per essere poi mangiato o regalato, come segno di buon auspicio, il 25 dicembre, una data che nell’antica Roma corrispondeva al giorno del “dies natalis solis invicti” cioè il “giorno del Natale del sole invincibile”. Si trattava di una festività istituita dall’imperatore Aureliano per celebrare la rinascita del sole, morto nel solstizio d’inverno.
Il pangiallo infatti è un dolce che nella forma e nel colore richiama appunto il sole: ha la conformazione di una pagnotta e la sua superficie è ricoperta da una glassa di colore giallo acceso. Per quanto riguarda il suo interno, la ricetta tradizionale prevede un impasto di frutta secca, miele, cedro e canditi. Esiste però anche un’altra versione “più economica” inventata dalle massaie romane che, non potendo permettersi le mandorle e le nocciole, utilizzavano le prugne e le albicocche essiccate.
La tradizionale ricetta del pangiallo è citata anche nel “De re coquinaria” del famoso cuoco Apicio, vissuto circa duemila anni fa. Il noto chef, nel suo capitolo dedicato ai dolci, consigliava per una migliore riuscita del pangiallo di: mescolare nel miele pepato anche del vino puro, dell’uva passita, della ruta e di aggiungere a questi ingredienti i pinoli, le noci della città di Avella e la farina d’orzo.
Oltre alla ricetta tradizionale esistono anche molte varianti che vedono la presenza del cioccolato fondente o della confettura di fichi. Per quanto riguarda la sua particolarità, ovvero la superficie color oro: alcuni la preparano mettendo nella glassa lo zafferano, altri utilizzano l’uovo.
Nel corso dei decenni il pangiallo ha perso il suo primato nella lista dei dolci romani natalizi, ma la produzione di questo antico dolce continua a persistere nella zona dei Castelli Romani e in molte famiglie più tradizionali che ancora oggi lo preparano in casa per poi regalarlo ad amici e parenti come simbolo di rinascita.